LA FAMIGLIA NEL KIBBUTZ.
Relazione di Valentina Piattelli al Seminario del Prof. Paul Ginsborg "Famiglia e società nell'Europa Contemporanea" A/A 1992-1993.
Sogno ed azione non sono così largamente separati quanto molti credono; tutte le azioni degli uomini nascono come sogni e ridiventano sogni"
Theodor Herzl, Altneuland.
LA SCELTA DELLA COMUNE
(famiglia e proprietà privata)
L'aspirazione ad un sistema sociale perfezionato è propria del sionismo fin dalle sue origini: sia Moses Hess, sia Theodor Herzl parlavano di cooperazione economica e di riforme sociali; Herzl si considerava l'ultimo dei socialisti utopisti. Ben presto confluirono nel sionismo tendenze liberali ed il Congresso Mondiale Sionista divennne contrario alla socialdemocrazia ed a favore della creazione di uno stato capitalista. Era presente un'ala sinistra che non si riconosceva in queste tendenze e che era formata in gran parte da ebrei russi.
I fondatori del primo kibbutz, Degania, erano quasi tutti ebrei russi, così come in genere fra i componenti delle prime due aliyoth. Per questo è importante studiare l'influenza che ebbero su questi coloni le idee politiche correnti in Russia in quegli anni e negli anni precedenti; infatti la Russia è stata uno degli ultimi paese europei ad abbandonare il socialismo utopistico, il socialismo populista, basato sulla comune contadina.
L'esaltazione romantica della Comune contadina russa, l'obscina, si deve agli slavofili. Herzen, deluso dal fallimento del '48 europeo, dette all'obscina un significato rivoluzionario in quanto ritenne che il socialismo in Russia si sarebbe potuto realizzare tramite un federazione di obsciny, e che questo sarebbe stato più consono al popolo russo e meno traumatico. Il suo pensiero venne ripreso dai primi socialisti russi, non marxisti, che considerarono la persistenza di simili comuni e la mancanza quasi totale di proprietà privata della terra, una fortuna per la Russia. Essi furono influenzati dalle teorie di Fourier e dall'esaltazione della vita in armonia con la natura di Rousseau; per questo progettavano di trasformare l'obscina in un falansterio.
La lettura di Fourier e di Saint-Simon portò i populisti ad interessarsi dell'emancipazione della donna, della sua educazione e del suo significato nella famiglia e nella società. Nel Manifesto della Giovane Russia si parla di abolizione del matrimonio e della famiglia, di istruzione gratuita e di emancipazione per la donna.
Molte donne si unirono ai populisti, anche nelle Comuni che essi fondarono, basate su principi di collettivismo e di egalitarismo.
La durezza della repressione zarista, specialmente dopo l'andata al popolo, porta i populisti russi a trasformare per necessità cospirative l'intento principale delle comuni dei socialisti utopisti: quello di rendere felici le persone che vi avrebbero vissuto. Le Comuni dei terroristi populisti assomigliano più a caserme o monasteri, in base al principio secondo cui "il rivoluzionario è un uomo perduto" il cui unico scopo è la rivoluzione. Ad esempio leggiamo la descrizione di "Inferno" una di queste Comuni, fondata di Ishutin:
"Il membro di Inferno deve vivere sotto falso nome e spezzare i legami familiari, non deve sposarsi, deve abbandonare gli amici che aveva ed in genere vivere con un unico ed esclusivo scopo: l'infinito amore e dedizione alla patria ed al suo bene. Per lei deve abbandonare ogni soddisfazione personale ed in cambio, concentrandolo in se stesso, nutrire odio contro odio, malvagità contro malvagità: dovrà vivere sentendosi soddisfatto di questo aspetto della sua vita."
Lo spirito dei primi haverim somiglia più a Ishutin che a Fourier: il divieto di sposarsi, la causa suprema, il sacrificio di se stessi (vedi Aliza Zhidlovsky, p. 6). Borochov ed i sionisti marxisti formalizzarono il divieto di sposarsi, almeno nei loro scritti teorici, dicendo che andare in Palestina equivaleva al servizio militare e che per almeno cinque anni i pionieri non avrebbero potuto sposarsi. Nei kibbutzim il divieto formale non c'era ma, fino alla fine degli anni '20, la relazione fra un uomo ed una donna, come tutte le cose private, era mal vista e doveva essere discreta, quasi invisibile; anche i figli dovevano essere limitati il più possibile.
Nelle teorie populiste non vi è mai la concezione di uno stato democratico di tipo liberale; infatti, per ammissione stessa dei populisti, il loro nemico principale è il liberalismo. Riguardo allo stato vi sono due tendenze: la prima teorizza uno stato molto forte, la seconda (influenzata dall'anarchismo) invece teorizza la mancanza di stato, in quanto le obsciny federate fra loro lo avrebbero reso superfluo. Anche su questo punto le teorie populiste erano particolarmente interessanti per la situazione dei primi coloni palestinesi. Essi non avevano un proprio stato, ma dovevano sottostare prima all'impero ottomano, poi alll'amministrazione inglese, entrambi ostili e lontani.
Per l'elaborazione della dottrina sionista è importante anche il pensiero di L. Tolstoj. Anch'egli negava la necessità di un governo fino ai limiti dell'anarchia e predicava la vita semplice e naturale del mugik russo. Considerava l'agricoltura la vocazione più elevata dell'uomo. Il suo ideale era una società senza denaro, senza armi, senza politica e senza governo. A.D. Gordon riprenderà in Palestina queste idee e diffonderà la "religione del lavoro", secondo cui il lavoro in comune è l'unico mezzo per allargare i limiti dell'esistenza umana e per far penetrare la persona nella sfera dell'umanità, ed il "ritorno alla terra", intesa sia come terra di Sion, sia come agricoltura.
Nell'estate del 1874 i populisti cercarono di applicare le loro teorie con la cosidetta "Andata al popolo". Ad essa parteciparono molti ebrei. L'ardore è del tutto simile a quello dei primi coloni in Palestina. Le statistiche della polizia politica del 1877 danno un'idea della partecipazione degli ebrei al populismo: i prigionieri politici (tra cui condannati in processi o puniti con pene amministrative, quali la deportazione o il confino) nel 1877 erano 964, di cui 68 ebrei (7%); dopo i russi e gli ucraini gli ebrei erano la nazionalità più rappresentata. Narodnaja Volja aveva una Sezione Ebraica che mirava ad insediare gli ebrei nelle zone rurali ("l'agricoltura come unica via di elevazione dell'uomo", quasi con le stesse parole di Tolstoj.).
L'attentato ad Alessandro II il 1 Marzo del 1881 fu il pretesto per scatenare una serie di pogrom, poiché fra gli attentatori vi era un'ebrea. I populisti, che già in passato avevano identificato gli sfruttatori del popolo negli ebrei, si dichiararono a favore dei pogrom, credendo di essere di fronte alla prima rivolta popolare. Sebbene anche all'interno dei populisti vi erano state voci contrarie, questa presa di posizione allontanò molti ebrei dal populismo.
I pogrom spinsero centinaia di migliaia di persone all'emigrazione, specialmente verso l'America. Un altro risultato dei pogrom fu quello di aprire una discussione fra l'intelligensja ebraica russa sull'assimilazione, sul socialismo e sul nazionalismo. Ormai in pochi credevano nell'assimilazione e quasi tutti si schierarono a favore dell'emigrazione verso un nuovo paese dove dovevano
"sforzarsi di non portare il flagello della vecchia civiltà, vale a dire le grandi proprietà terriere private ed il sistema che ne è parte integrante: lo sfruttamento più disumano del proletariato bracciantile. ... Le prime colonie devono fondarsi su principi cooperativi, gli unici sensati ed appropriati, specialmente in un nuovo paese."
É evidente in simili parole l'influsso di Tolstoj, che riteneva la proprietà privata fondiaria uno dei più grandi crimini contro l'umanità.
Per diffondere questi progetti gli studenti ebrei fecero propaganda nelle sinagoghe, e questo fu da loro chiamato significativamente "Andata al popolo". In un primo tempo i socialisti ebrei russi pensarono di emigrare in America:
"Davanti a me si andò formando un quadro fantastico di vita comunista nella lontana America, una vita in cui non esistevano il "mio" ed il "tuo", ma tutti erano fratelli e sorelle." (Abe Cahan, p 149).
I coloni di Kinnereth, quando fondarono il primo kibbutz usarono quasi le stesse parole.
Coloro che scelsero la Palestina in quegli anni (prima aliya) in genere univano al socialismo l'ideale religioso ebraico riformato. Infatti il sionismo allora non si rivolgeva soltanto alla Palestina, ma, come Herzl stesso diceva, verso ogni parte del mondo dove vi fosse una possibilità concreta. Un gruppo di studenti di Odessa elaborò un progetto di colonizzazione dell'America in tre punti: la terra sarebbe stata di proprietà comune, la distribuzione dei prodotti commisurata ai bisogni di ciascuno, i soldi messi da parte per creare nuove colonie. Un altro gruppo di studenti, più tradizionalisti e religiosi, decisero di partire per "fondare una colonia agricola in America su basi collettivistiche". Alcune di queste colonie vennero fondate in America, anche con capitale di ebrei occidentali, ma ebbero tutte vita breve.
Nella seconda metà degli anni '80 i pogrom cessano e viene meno l'urgenza dell'emigrazione, e quindi anche la spinta ideologica. Viene fondato il Bund, partito socialista ebraico (marxista), contrario all'emigrazione e a favore dell'autogoverno nella Zona di Residenza. I pogrom del 1903 e 1905 provocarono di nuovo un'ondata migratoria verso l'America; stavolta però i socialisti russi si schierarono contro i pogrom, avendo finalmente capito che erano organizzati dalla polizia stessa, molti ebrei si orientarono di nuovo verso il socialismo internazionalista ed infatti poco dopo il Bund, il Partito socialista ebraico, si unì al Partito Operaio Socialdemocratico e particolarmente all'ala menscevica. Gli ebrei parteciparono in massa alla rivoluzione del 1905 e sempre più si allontanarono dal sionismo.
Comunque in quegli anni molti intellettuali ebrei elaborarono una forma nazionale di socialismo, che passava sempre per la fondazioni di Comuni. Ad esempio Syrkin, socialista premarxista tipico, nella tradizione di Fourier, arriva ad elaborare un progetto di Comune nel suo libro La questione ebraica e lo stato socialista ebraico.
"Per Syrkin i coloni si sarebbero organizzati in Comuni di media grandezza, formate approssimativamente da 10.000 persone, la terra sarebbe stata e ogni comune avrebbe funzionato come un . Ogni membro della comunità darebbe stato libero di scegliere per quante ore al giorno lavorare e avrebbe ricevuto un tipo di salario commisurato alla quantità ed al tipo di lavoro svolto. Manzioni più faticose e spiacevoli sarebbero state compensate meglio di alternative più attraenti. Con i buoni-paga ricevuti, ciascuno avrebbe potuto scegliere liberamente i beni ci consumo, la casa e la scuola che preferiva. Alcuni servizi come i teatri e le istitituzioni dell'istruzione superiore, i musei, le banche, sarebbero stati concentrati in centri di tipo quasi urbano, ma la loro popolazione si sarebbe avvicendata a turni con quella dei villaggi. In una società del genere, insiste Syrkin nel 1898, ".
Syrkin tramite il suo principale discepolo, Katznelson, ideologo del Mapai, influenzò direttamente i primi coloni.
Un'esperienza fondamentale per tutti coloro che nei primi anni del secolo parteciparono alla vita politica palestinese era stata la rivoluzione del 1905 in Russia, a cui quasi tutti avevano partecipato. L'esperienza li aveva tutti orientati al marxismo e l'obbiettivo, assolutamente antiutopistico, divenne quello di dare inizio ad uno sviluppo capitalistico in Palestina, per formare una classe proletaria ebraica. Essi abbandonarono quindi l'idea delle Comuni collettivistiche.
"in quegli anni la vita politica sembrava riecheggiare fedelmente il periodo rivoluzionario in Russia".
Fino ad allora gli insediamenti in Palestina erano stati finanziati in modo filantropico dal Barone Rothschild. L'Ica (organizzazione per la colonizzazione ebraica), aveva cercato di renderli produttivi tagliando i fondi; in realtà il risultato fu che molti coloni se ne andarono.
Poiché la tendenza marxista era solo una delle tendenze del socialismo sionista, vi furono molti che, pur non abbandonando la Palestina, se ne andarono nelle zone "di frontiera" della Galilea. Quindi in Galilea si trovò riunita un'eterodossia non marxista, con evidenti influssi populistici (anche in questo caso si trattava quasi soltanto di ebrei russi). Tra questi ricordiamo il gruppo di Sejera, in un cui scritto si legge: "Alcuni sognano una fattoria collettivistica, altri un villaggio collettivistico". Questo gruppo era noto come il "Collettivo" (kollektiv) ed agiva con forme cospirative, ad esempio aveva una cerimonia di iniziazione che ricalca quella dei movimenti rivoluzionari russi ottocenteschi. Ii loro tentativi di fondare Comuni collettivistiche fallirono.
Ormai gran parte della gioventù ebraica russa era orientata verso il marxismo. Fu dalla Germania che il sionismo socialista utopista riprese impulso. Franz Oppenheimer, un intellettuale berlinese, scrisse nel 1896 "Die Siedlungs-gennossenschaft" ("La colonia cooperativa"), il cui sottotitolo era "un tentativo di trovare un'alternativa positiva al comunismo attraverso la soluzione del problema del cooperativismo e della questione agraria". Secondo Oppenheimer stesso il suo lavoro rientrava nel filone utopistico di Fourier e Saint-Simon. Oppenheimer curava particolarmente l'analisi economica della Comune, che comunque riteneva adatta soltanto all'agricultura. Il progetto aveva probabilmente subito l'influsso di Syrkin, la cui posizione a favore delle Comuni all'interno del sionismo risultò rafforzata, dal momento che Oppenheimer aderì al sionismo. Herzl, che già nei suoi primi scritti aveva vagheggiato la soluzione cooperativa, fu conquistato dall'idea: nacqué una Commissione Palestina (tra i cui membri c'era Oppenheimer stesso), che affidò ad un giovane economista, Arthur Ruppin, il compito di andare in Palestina e verificare la possibilità di fondare fattorie cooperativistiche. Il lavoro della Commissione Palestina, fu duramente osteggiato dal sionismo marxista, sia in Palestina, sia in Europa.
La prima fattoria cooperativistica fu fondata dalla Commissione Palestina nel 1908 a Kinneret; la manodopera era formata soltanto da ebrei russi. Proprio in questo stava la novità: fino ad allora le varie fattorie avevano utilizzato ampiamente la manodopera araba. La fattoria di Kinnereth, criticata dai marxisti, sopravvisse a stento anche per via della malaria.
Proprio in quegli anni, 1909-1914, la soluzione della proletarizzazione perse pian piano l'appoggio dell'opinione pubblica ebraico-palestinese e quindi dei partiti che la rappresentavano; infatti lo sviluppo capitalistico era stato avviato, ma i proletari erano soltanto arabi. Sempre di più acquistava sostegno la strategia alternativa: le comuni "utopistiche". Anche al di fuori della Palestina, ai Congressi sionisti, prevalse la tesi del socialismo cooperativistico di Oppenheimer su tutte le altre, ed in particolare su quella marxista.
Approfittando di questi cambiamenti Ruppin nel Dicembre del 1909, decise di lasciare una parte della fattoria ad un gruppo di sei ragazzi per provare a condurla autonomamente con metodi collettivistici: era Degania, la fattoria destinata a diventare il primo kibbutz. Quell'anno, il 1910, fu economicamente il primo anno positivo per la fattoria di Kinneret. L'anno dopo subentrò un altro gruppo di ragazzi (nove in tutto), tutti provenienti da altre esperienze di Comuni, sia agricole sia operaie.
Le condizioni in queste prime Kvutsa erano molto dure: l'ascettismo era una regola ferrea, vi erano poche donne e nessun bambino. Vi era diffusa la dieta vegetariana, segno sia dell'influenza di Tolstoj, sia dell'estremapovertà di queste prime Comuni. Aliza Zhidlovsky era fra i membri di Deganya. Nel 1913 scrisse:
"Da quei giorni non ho più sentito cantare nessuno così. Il canto era una valvola di sfogo per quel senso di solitudine che questo piccolo gruppo (eravamo 24) pativa ... non esisteva alcun collegamento con nessun'altra colonia. Il giornale arrivava di rado. ... Si aveva la chiara sensazione di essere tagliati fuori dall'Europa, dal mondo, dalla propria vita precedente ... E in quel canto riversavamo tutte le ansie e la paura che non vi fosse domani ... molto spesso il canto sfociava in un girotondo... Si ballava fino allo sfinimento... Non era solo un ballo, ma una sorta di grido inarticolato, lo sfogo di tutto ciò che veniva represso in fondo al cuore ... Fu un periodo di crudeltà verso il singolo individuo. Si viveva in condizioni difficili e si esigeva che il singolo desse tutto se stesso, senza riguardo per le sue possibilità (o impossibilità)".
Non mancavano voci contrarie a questa durezza, in gran parte autoimposta; un corrispondente del "Ha-ahdut" scrisse nel 1911:
"Dite quel che volete, ma in quest'atteggiamento io vedo un'eredità dell'esilio, il retaggio di un mondo di sacrifici, digiuni flagellazioni: la spontanea automortificazione del corpo e dell'anima".
Probabilmente il successo di questo modello, della Kvutsa, fu reso possibile proprio grazie a questa straordinaria tensione. I membri del collettivo erano animati da un entusiasmo di setta, dovuto alla sensazione di star creando qualcosa di radicalmente nuovo. Per questo rifiutarono di unirsi alle fattorie cooperativistiiche che cominciarono a venir fondate secondo il modello Oppenheimer: perché avevano più fiducia nelle Kvutsoth, perché erano contrari al salario differenziato ed alla direzione dall'alto (come prevedeva Oppenheimer).a
In quegli stessi anni venne fondato vicino a Petah Tikva, un villaggio cooperativistico di piccoli proprietari, destinato ad essere il prototipo del moshav. I finanziamenti stanziati per le fattorie collettivistiche andarono per molto tempo soltanto ai moshavim, meno radicali ed in cui la famiglia continua ad avere il suo ruolo.
L'ABOLIZIONE DELLA FAMIGLIA
(tipo di famiglia)
L'Utopia per essere realizzata ha bisogno della spinta ideologica dei partecipanti: per questo i kolchozy, dove la spinta ideologica è stata imposta sono risultati un fallimento, mentre i kibbutzim, frutto di un atto volontario, continuano ad esistere. Con il tempo la spinta ideologica del sionismo è diminuita, ed anche il rigore ideologico dei kibbutzim è diminuito, soprattuto per quanto riguarda la famiglia e la proprietà privata. Inoltre i kibbutzim poiché nascono in antagonismo con il mondo esterno e come depositari dell'ideologia del paese, finché l'ideologia sarà forte, e cioé finche vi sarà opposizione con il mondo circostante (il mondo arabo), i kibbutzim continueranno ad esistere. Questo è anche il motivo per cui i kibbutzim hanno assunto e continuano ad avere un aspetto ed un'importanza militare.
Per aver un'idea di quale fosse la vità in uno di questi primi kibbutz, dove la spinta ideologica era ancora fortissima, leggiamo un passo di Arthur Koestler, che visse per un certo periodo in una kvutsa, nel 1926:
"La vita in una kvutsa significava un'esistenza di povertà eroica e di sforzi disperati al limite della resistenza umana. Le istituzioni e gli svaghi del mondo normale erano sconosciuti. ... Ogni forma di lavoro remunerato era bandita... Così la proprietà privata e l'uso del denaro. Il membro della comunità si supponeva lavorasse al limite delle sue capacità e riceveva in cambio lo stretto necessario all'esistenza. ... Tutto ciò porta ad un distaco dalla realtà. La vita era dura, ma al tempo stesso libera da preoccupazioni economiche ... La comunità provvedeva a tutti i bisogni dei suoi membri, dalla culla alla tomba. ... La mancanza di riservatezza, che si estendeva anche alle doccie ed alle latrine comuni, era più difficile a sopportare che non la malattia o lo sforzo fisico. La durezza, imposta volontariamente, era solo in parte dovuta alla povertà, in parte dipendeva dall'ideologia collettivistica dei coloni. La kvutsa era considerata dai suoi membri quasi una comunità mistica, in cui non solo i beni materiali si dovevano dividere, ma anche i pensieri, i sentimenti e gli aspetti più intimi della vita, con la sola eccezione della vita sessuale. Le tendenze personali erano considerate segni di egoismo individualista e di indifferenza sociale. ... In una piccola comunità, dove ad ogni istante si è sotto lo sguardo degli altri, è impossibile nascondere qualche tratto del proprio carattere; ... Non è il risultato di pettegolezzi, ... ma piuttosto una specie di sesto senso. ... (che) dava al membro della kvutsa la strana sensazione di esser trasparente ... Tutto ciò porta prima o poi ad una crisi psicologica. ... Dopo cinque o sei anni buona parte dei coloni non era più adatta ad alcun altro genere di vita."
Le osservazioni di Koestler confermano quanto detto sopra: soltanto una forte spinta ideologica può far riuscire un esperimento come il kibbutz. Vivere secondo i propri ideali, anche a costo di grandi fatiche o rinuncie, dà una soddisfazione che spinge ad andare avanti.
Le kvutsoth per tutti gli anni '20 rimasero formate da circa 15-20; ciò corrispondeva ad una precisa ideologia che vedeva nel gruppo ristretto della Comune un sostituto della famiglia, che secondo i primi pionieri era sul punto di disintegrarsi.
"La famiglia nel passato, o la kvutsa nella nostra vita futura, questo è il vero e permanente rifugio che salverà l'anima dell'uomo. ... Nella vita vera della kvutsa si può trovare la speciale atmosfera entro la quale le caratteristiche dell'uomo nuovo possono formarsi ... la famiglia sta per essere distrutta ... Ma i valori eterni della vita rimarranno e muterà solamente la loro forma, perché il bisogno di un ambiente familiare è molto profondo ed organico. ... La famiglia rinascerà sulla base dei legami spirituali, non di sangue, e nella forma di piccoli, modesti gruppi di lavoratori".
Col tempo la famiglia, intesa nella sua cellula minima, la coppia, si ricreò, nonostante fosse osteggiata dalla Comune: ad esempio le coppie non potevano sedersi allo stesso tavolo, né lavorare insieme; i loro rapporti dovevano limitarsi al passare la notte insieme, altrimenti lo spirito di gruppo ne sarebbe risultato diminuito etc. L'apparizione delle prime famiglie sembrò al kibbutz un evento perturbatore. L'intimità era una categoria nuova per la collettività e ne scuoteva l'organicità.
"Fino ad oggi i kibbutzim lottano con la famiglia come con un difficile avversario. ... Se paragonato all'amore in generale, l'amore di due persone l'uno per l'altro è una questione di scelta estremamente privata."
Vi furono anche opinioni discordi, come Talbenkin, che già nel 1923 aveva avvertito la necessità di stabilizzare il ruolo della famiglia nel kibbutz come requisito per la sua stessa sopravvivenza:
"Nei kibbutzim stabiliti da un certo tempo, non vi sono quasi famiglie. Con ogni nuova famiglia, sorge il problema: rimarrà, o non rimarrà? L'esistenza della famiglia in questa forma, o con questi rapporti non promette bene per il futuro. La kvutsa, com'è oggi diviene un fine connesso ".
Quando poi nacquero i primi bambini il problema divenne ancor più stringente; infatti un gruppo così limitato non consentiva loro un'educazione adeguata, né i servizi sociali e sanitari necessari. Le dimensioni ristrette inoltre provocavano scontri personali ed impedivano uno sviluppo dell'economia che superasse l'autosufficienza. Nasce la "grande kvutsa" formata da alcune centinaia di persone, non senza scontri interni fra coloro che volevano mantenere la piccola kvutsa/famiglia. Già nel 1920, sempre a Kinnereth, vengono accettati nuovi membri, fino ad arrivare a 65 persone. Le comunità più grandi si definiscono kibbutz; il loro scopo è creare un villaggio collettivistico multivalente (cioé non solo agricolo), mentre le kvutsa erano delle fattorie collettivistiche, necessariamente limitate all'agricoltura.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale i kibbutzim servirono ad assorbire la gran quantità di profughi, provenienti soprattutto dall'Europa. In realtà queste persone, scampate allo sterminio nazista, vedevano nel kibbutz una tappa della loro vita, e nella maggioranza dei casi speravano di poter andare a vivere in città al più presto; nessuno aveva voglia di fare ulteriori sacrifici. Il kibbutz fu costretto ad apportare alcuni adattamenti al rigore originario: i membri poterono possedere alcuni oggetti personali, il distacco verso i figli fu minore etc. Questo poteva avvenire anche perché le condizioni economiche del paese erano migliorate.
Poiché il kibbutz è una società democratica, non vi sono regole immutabili. Pian piano, a partire dai kibbutz di destra e centro, la privacy ed il livello di vita sono aumentati. Le assemblee dei kibbutzim hanno cominciato ad addolcire e quasi sempre ad abolire la prassi dell'educazione collettiva. L'arrivo recente di migliaia di nuovi immigrati dall'Est Europa è destinato a portare nuovi mutamenti.
LA FAMIGLIA NEL KIBBUTZ
(rapporti personali fra i membri della famiglia;
famiglia e società civile; famiglia e stato)
Ben presto i mebri dei kibbutzim trovarono naturale quello che per i primi membri delle kvutsoth era da evitare: la famiglia. In realtà il conflitto fra Comune e famiglia, pur latente, rimaneva vivo. Soprattutto vi fu scontro sul ruolo che avrebbero dovuto avere i genitori nell'educazione dei propri figli: all'inizio, secondo i precetti del collettivismo e di tutti i socialisti utopisti, sembrava ovvio che i genitori non dovessero avere alcun ruolo nell'educazione dei figli; dopo molte deliberazioni ed esperienza, questo rigore si è sempre più attenuato, tanto che ormai sono pochissimi i kibbutzim che mantengono l'educazione comunitaria.
A poco a poco la famiglia si ritagliò uno spazio sempre più grande nella vita della Comune, senza però essere sempre in contrasto con essa; infatti la famiglia ha anche un suo ruolo nella società civile del kibbutz. Poiché ormai le generazioni si sono avvicendate, nel kibbutz ci sono anche persone anziane, e ad esse la famiglia serve come punto di riferimento, così come i nonni (che in kibbutz, continuano a lavorare, ma sempre meno ore al giorno) possono aver cura dei nipoti in caso di assenza dei genitori. Soprattutto in momenti difficili, come ad esempio un divorzio, questa "mutua assitenza" può prevenire crisi più gravi.
La scelta dell'abolizione della proprietà privata a favore della proprietà collettiva ha fatto sì che le preoccupazioni economiche non avessero più modo di influennzare la famiglia. Nell'ideologia sionista questo avrebbe dovuto portare alla liberazione della donna, il cui lavoro è valutato nella Comune l pari di quello dell'uomo e che quindi è membro di pari dignità della Comune. Il matrimonio non doveva più essere basato sulla necessità o sulla paura, ma sulla libera scelta. Il collettivismo, oltre che alla proprietà privata, si estende anche ai rapporti familiari, soprattutto rispetto al rapporto genitori/figli; infatti è la comunità intera che si prende il compito di allevare ed educare i bambini.
L'eliminazione della funzione economica non ha assolutamente indebolito la famiglia; infatti essa rimane l'appoggio del singolo nella sua lotta per la propria affermazione e per l'indipendenza personale. Anzi, l'assenza di problemi economici ha rafforzato la stabilità della famiglia, tanto è vero che le coppie fisse sono i membri più stabili dei kibbutzim.
Per molto tempo il "matrimonio" consisteva in questo: la coppia chiedeva una camera ll'economo e si spostavano i letti; il matrimonio era così concluso; infatti i pionieri, atei, consideravano il matrimonio religioso (in Israele non esiste il matrimonio civile) una farsa disdicevole. Solo al momento della nascita del primo bambino i genitori si sposavano con la procedura religiosa, il bambino veniva registrato con il nome del padre, mentre la madre manteneva il proprio cognome. Questa procedura rimane in vigore soltanto nei kibbutzim di sinistra, mentre negli altri di solito il matrimonio precede la vita in comune. Anzi la cerimonia religiosa del matrimonio viene tenuta sempre in maggiore considerazione nei kibbutzim, e soprattutto dalla seconda generazione.
L'opinione pubblica del kibbutz non favorisce il divorzio, soprattutto in presenza di figli, preferendo i matrimoni stabili che garantiscono stabilità anche alla Comune. Le coppie nei kibbutzim sono più stabili, sia per la mancanza di preoccupazioni economiche, sia per la vita della Comune che, se da un lato diminuisce la tensione sessuale, dall'altro aumenta il legame d'affetto. Un altro elemento a favore della stabilità è il forte senso di paternità degli uomini, che è pari a quello materno delle donne.
Le donne
Secondo l'ideologia kibbutzistica, la vita comunitaria è l'unica che possa offrire alla donna l'emancipazione. Infatti nella società borghese la donna spesso è costretta ad occuparsi solo dei figli, anche se magari non ne ha voglia, ed in quel caso dipende economicamente dal marito; oppure, se lavora, non riesce a conciliare la maternità con il lavoro. La società comunitaria risolve questo problema liberando la donna sia dagli assilli economici, sia dalla responsabilità esclusiva nella maternità.
Il sistema educativo collettivo è dovuto anche alla volontà delle prime pioniere di realizzare se stesse nel lavoro, coerentemente con i principi sia del sionismo sia dell'emancipazione della donna; esse sono riuscite a dimostrare che nessun lavoro è inadatto alle donne. Le prime pioniere pensarono di raggiungere l'uguaglianza completa facendo gli stessi lavori dell'uomo. Con il tempo si è cominciato ad affidare alle donne i lavori più consoni alle loro capacità fisiche; con l'esperienza alle donne sono stati affidati alcuni lavori, come ad esempio la cura dei bambini, per i quali gli uomini risultavano meno portati. Le donne della seconda generazione non si sentivano in dovere di dimostrare nulla a nessuno e non avevano un interesse particolare per i lavori pesanti. Ben presto le donne hanno cominciato ad essere molto presenti nei servizi e soprattutto in quelli "casalinghi", come ad esempio la cucina e la lavanderia. Un'indagine del 1958, condotta nei kibbutzim di sinistra, dove il fenomeno si è sviluppato più lentamente, mostra la seguente distribuzione del lavoro:
Servizi per adulti (cucina, lavanderia etc.) 40 %
Cura dei bambini 25 %
Insegnamento 15 %
Agricoltura 10 %
Assistenza ai bambini piccoli 5 %
Amministrazione e lavori esterni 5 %
Si vede bene come le donne siano concentrate soprattutto proprio in lavori casalinghi, quali la cura dei bambini, la cucina (dove sono ben l'80 %) etc. L'insieme di questo tipo di lavori rappresenta l'85 % del lavoro femminile. Poiché il lavoro nell'agricoltura costituisce la parte più importante dell'economia del kibbutz, il fatto che le donne non svolgano più proprio quel lavoro, così importante anche per l'ideologia sionista, impedisce l'identificazione della donna nell'impresa del kibbutz; questo è particolarmente grave per le ragazze giovani, che vedono ristretto il loro orizzonte di realizzazione personale. Gli uomini, se interrogati in generale, rispondono che questo è ingiusto, ma se devono rispondere rispetto alla loro moglie, preferiscono in realtà che essa esegua un lavoro meno faticoso nei serivizi. Ma nei servizi, dove in effetti la gran parte delle donne lavora, non è necessaria molta specializzazione e così le donne finiscono per non sentirsi realizzate nel lavoro. Se poi la donna decide di realizzarsi nella famiglia, questo le sarà reso difficile dalla vita comunitaria. Quindi queste donne finiscono per sentirsi frustrate sia nel lavoro sia nella maternità. Molte sono le donne che decidono di lasciare il kibbutz.
Sempre l'indagine del 1958 ci dice che l' 81 % delle donne nei kibbutzim è soddisfatta del proprio lavoro e solo il 19 % non lo è, però su 1.000 intervistate soltanto 450 risposero. Comunque il dato è sufficiente a mostrare che l'insoddisfazione per il proprio lavoro, pur presente, non è generalizzata.
Molte donne hanno incarichi assai importanti nei kibbutzim, ma la percentuale non è uguale a quella degli uomini: nei comitati che dirigono i kibbutzim le donne rappresentano il 35 %, che già è un po' poco, ma se si guarda i direttivi di questi comitati la loro percentuale scende ancora fino al 25 %.
Le donne nel kibbutz avrebbero realizzato l'emancipazione e l'uguaglianza, eppure, volontariamente, si sono di nuovo ritirate, sia dalla vita pubblica, sia da quella economica. Probabilmente i condizionamenti di secoli sono duri a morire ed alcune tendenze (ad esempio il fatto che le donne siano più portate degli uomini alla cura dei bambini) sono naturali.
L'educazione collettiva
Se si guarda all'educazione dei figli praticata in molti kibbutzim, sembra di assistere alla realizzazioni del falansterio di Fourier: l'educazione collettiva praticata da persone naturalmente portate, i gruppi di pari divisi per età, l'educazione al lavoro fin da piccoli, l'uguaglianza dei sessi etc. Probabilmente i motivi per queste scelte sono di altro genere, ma sicuramente, almeno lontanamente, il mito di Fourier (tra le letture d'obbligo di tutti i populisti russi), deve essere arrivato ai fondatori dei primi kibbutzim.
Secondo Joseph Baratz, ebreo russo, tra i fondatori di Deganya, quando in kibbutz ci fu il primo neonato
"nessuno aveva idea di cosa farne. Le nostre donne non sapevano occuparsi di bambini... Quando nella colonia i bambini furono quattro, decidemmo di farne qualcosa. Il problema era difficile. come potevano le donne lavorare ed insieme badare ai figli? Ogni madre doveva occuparsi della propria famiglia e nient'altro? ... Le donne non vollero sentir parlare di abbandonare il loro sitema di vita e lavoro comunitari... Scegliemmo una ragazza che si prendesse cura di tutti i bambini e riservammo loro una casa, dove potessero passare la giornata mentre le madri erano al lavoro. Così questo sistema si sviluppò e fu in seguito adottato da tutti i kibbutz."
É curioso che questi idealisti, così tesi alla creazioni di una nuova società non avessero pensato ai figli, base della futura società. Altri invece se ne erano occupati, Oppenheimer e Syrkin, e facendo risalire le loro idee proprio a Fourier; forse, date le tensioni interne al movimento sionista in quegli anni, i fondatori dei kibbutzim volevano far apparire ogni loro idea come completamente autonoma da qualsiasi movimento. Inoltre tra i membri della prima e seconda alya la lettura di Fourier era comune.
Un'altra chiave di interpretazione è il kibbutz nato in contrapposizione allo shtetl: se nello shetl tutta la vita era imperniata attorno alla famiglia, nel kibbutz la famiglia doveva scomparire; se nello shetl la donna aveva un ruolo sottoposto all'uomo, nel kibbutz i sessi sarebbero stati uguali. Questi giovani da un lato avevano subito un'educazione oppressiva, dall'altro non si sentivano in grado di allevare dei figli, non avendo altri modelli di riferimento se non i propri genitori, modello che rifiutavano; per questo allevarono i figli in comune. Le donne furono le più strenue sostenitrici dell'allevamento collettivo dei figli. Le pioniere vedevano la propria realizzazione non nella maternità, ma nel lavoro, che ritenevano più importante; per questo gli indici di natalità in quelgi anni erano bassissimi. Inoltre queste donne si sentivano inadeguate nel ruolo di madri perché non si sentivano in grado di dare quella dedizione assoluta che le loro madri davano ai figli. Ciò era compensato dal fatto di sentirsi delle buone compagne per i propri mariti e amici; infatti le pioniere dei kibbutzim cercavano le loro soddisfazioni psicologiche nei coetanei e non nei figli. Ecco un motivo profondo per la scelta dell'educazione collettiva: la paura di non essere all'altezza nel ruolo di madre. Anche se le motivazioni che vengono date per questa scelta sono di solito di ordine pratico, la scelta dell'educazione collettiva è dovuta soprattutto alla sensazione di inadeguatezza dei primi pionieri, che proprio per questo si basarono su teorie di "esperti" (medici, psichiatri, teorie allora in voga in pedagogia etc.), perché provavano sfiducia nella propria capacità naturale di educatori.
Il sistema del kibbutz tende per certi versi a rigenerarsi; infatti le donne nate in kibbutz, e quindi allevate con il sistema collettivo, a loro volta temono di non essere buone madri, non avendo alcun modello su cui basarsi, a loro volta di identificano di più con il gruppo dei pari, che sostituisce la famiglia. Per questo il sistema collettivo nell'educazione dei figli è sopravvissuto a più di una generazione. É stato l'afflusso di donne nate non in kibbutz che lentamente ha diminuito il rigore dell'educazione collettiva fino a farla scomparire quasi ovunque.
Un altro motivo profondo che ha portato alla scelta dell'educazione collettiva è il desiderio dei genitori di evitare ai figli gli scontri che essi avevavano avuto con i propri genitori, soprattuto nell'adolescenza; infatti, l'unico ruolo lasciato ai genitori con l'educazione collettiva è quello di "amici"; per questo si si incontrano solo in momenti di gioco o divertimento.
Nei kibbutzim tutti sono d'accordo sul fatto che durante il giorno i bambini vengano affidati alle cure di persone apposite, non tutti lo sono sul fatto che la notte i bambini dormano insieme nei dormitori, invece che con i genitori. I kibbutzim di centro e di destra sono stati i primi ad abbandonare questa pratica che ormai soltanto alcuni kibbutzim di sinistra matengono. Coloro che sono a favore dell'allevamento completamente collettivo dei bambini sono spinti dal desiderio di eliminare qualsiasi forma di proprietà o autorità privata, per questo chiedono che i bambini vengano allevati insieme nell'uguaglianza più completa, per evitare ogni possibile selezione sociale. Essi inoltre ritengono che i bambini cresciuti in questo modo sviluppino precocemente ed interiorizzino lo spirito collettivista.
In effetti i bambini fin da piccoli si abituano a veder soddisfatti i propri bisogni indipendentemente dalla persona che li soddisfa; fin da piccoli i bambini imparano che i loro bisogni verranno soddisfatti perché sono membri della Comune e questo li rende più sicuri. Inoltre i bambini si rendono conto che le uniche persone sempre presenti nella loro vita sono i loro coetanei, da essi devono imparare a trarre le soddisfazioni emotive e le rassicurazioni. Lo spirito di gruppo tra questi bambini è fortissimo: sono più attaccati ai loro coetanei che ai genitori, specialemente nell'adolescenza.
L'educazione collettiva fa sì che il rapporto fra il bambino e la collettività non sia più mediato dalla famiglia. Inoltre essa determina uno stacco quasi completo fra le generazioni.
I bambini vivono in una casa separata insieme alle insegnanti e vi formano una specie di kibbutz in miniatura, detto "società dei ragazzi". Farne parte non è un diritto, ma un privilegio, in teoria essi non sono ancora membri del kibbutz e devono presentare domanda per essere ammessi. Oltre all'insegnamento normale la scuola prevede anche alcune ore di lavoro manuale, sia per coltivare le attitudini personali, sia per far acquisire ai bambini abilità manuali; si insiste sul senso di squadra e sulla disciplina del lavoro. Già dalle elementari i ragazzi lavorano in tutti i rami della fattoria e nei programmi di studio è riservato un interesse speciale alle scienze naturali. Fin dalle elementari nella Comune dei bambini vi è un'assemblea periodica, dove la discussione è incoraggiata. Durante la scuola i ragazzi vengono spesso posti di fronte ai problemi sociali e politici del mondo esterno, affinché ne siano a conoscenza e si formino un'opinione. Prima della nascita dello Stato di Israele i ragazzi, finita la scuola, passavano un anno fuori dal kibbutz in modo da essere in grado di confrontare la società esterna con quella collettivistica; adesso questa prassi è stata sostituita dal servizio militare. Soltanto dopo questa prova all'esterno il sabra (cioè colui che è nato in kibbutz) ha il diritto di far domanda di ammissione al kibbutz.
La vita dei ragazzi nel kibbutz è estremamente piena: non hanno letteralmente un po' dei tempo per se stessi. Dopo sei ore di scuola, ci sono tre ore di lavoro, poi le riunioni, le occupazioni domestiche, le visite dei genitori ed attività sociali di ogni genere. Tutto ciò in un'età, l'adolescenza, che invece ha bisogno di tempo libero per formare la propria interiorità. Rispetto a quest'attività frenetica, il militare sembra ha molti di loro un sollievo.
Per i figli del kibbutz l'inserimento sociale è assicurato: il futuro è già deciso. Possono cambiare idea, ma in quel caso devono passare da l'avere un futuro certo ad averne uno incerto, per il quale non sono preparati. Essi sono abituati ad ogni lavoro del kibbutz, ed infatti dovrano farli un po' tutti nei primi anni, poiché la regola del kibbutz è che soltanto i membri più anziani possono scegliersi il lavoro. In pratica ai figli del kibbutz è negata ogni possibilità dei fare progetti. Essi sono incoraggiati ad istruirsi, e tutti studiani fino a 18 anni, ma pochissimi andranno all'Università. Il kibbutz può permettersi di mandare all'Università soltanto un numero limitato di studenti (al massimo un 10 %), che naturalmente sono i più meritevoli. Costoro non godranno di alcun privilegio nel kibbutz, se non di essere esonerati dal lavoro prima di ogni esame per una settimana. Inoltre non potranno scegliere da soli la facoltà, ma saranno orientati a specializzarsi per i mestieri di cui il kibbutz ha bisogno. Date queste limitazioni pochi ragazzi osano pensare all'Università, perché non vi è alcuna certezza che vi saranno mandati. Per risparmiarsi ogni delusione tendono a sopprimere i loro piani per il futuro. Eppure il livello delle scuole superiori dei kibbutz è il più alto d'Israele.
Così moltissimi decidono di non proseguire gli studi, ma anche di restare in kibbutz, ad una vita a cui sono preparati. I primi anni sono per loro durissimi. Ai nuovi arrivati vengono date le abitazioni più scadenti ed i lavori più umili e faticosi. Per le ragazze che fanno questa scelta l'orizzonte è in genere ancor più limitato: la lavanderia, l'asilo, la cucina etc.
Si è creato un "uomo nuovo"?
Bisogna chiedersi se questo tipo di educazione ha raggiunto gli scopi che si era prefisse, se è stato creato "l'uomo nuovo".
Per quanto riguarda la proprietà collettiva lo scopo è stato raggiunto quasi completamente. In kibbutz anche i bambini sanno che i giocattoli non sono loro ma di tutti. Il bambino però non è una tabula rasa, e le tendenze alla proprietà privata si manifestano naturalmente in lui, soltanto l'educazione collettiva riesce ad allontanarle gradatamente; infatti i sabra accettano completamente la proprietà colletiva e ne sono i più strenui sostenitori.
I sabra considerano il kibbutz la migliore forma di società; infatti raramente, dopo la prova nel mondo esterno, decidono di non tornare; inoltre cercano di portare nuovi adepti. I sabra però sono anche pronti a criticare il kibbutz, soprattuto per la pressione costante dell'opinione pubblica e per la mancanza di intimità; infatti i sabra partecipano pochissimo alle assemblee ed alle riunioni del kibbutz, perché preferiscono, quando possono, rimanere a casa loro, con pochi amici o da soli; in breve preferiscono le attività private a quelle pubbliche. Questo è sicuramente un risultato negativo.
Anche rispetto al lavoro gli ideali sono mutati. La prima generazione considerava il lavoro agricolo come una vocazione ed una forma per realizzare se stessi. I sabra, pur essendo dei lavoratori indefessi, hanno perso l'amore romantico per il lavoro, proprio dei loro genitori: preferiscono i lavori manuali, ma non li amano, semplicemente li ritengono utili. Questo sentimento pragmatico ha sostituito la passione della prima generazione, e per certi versi ha annullato la carica innovativa del kibbutz. Questa è la differenza più grande fra le due generazione: la prima era spinta da un sentimento idealistico, la seconda da uno pratico. Anche per l'amore per la natura è stato lo stesso: l'attaccamento dei sabra alla natura ha un origine pratica, utilitaristica.
Se si accetta l'idea secondo cui la società del kibbutz è il rovesciamento di quella dello shtetl, si capisce anche perché è stato detto che la nuova generazione aveva perduto tanto i difetti quanto le qualità dei genitori.
Un altro esempio di come gli ideali originari si siano rivoltati su se stessi è dato dalle idee sul sesso del movimento kibbutzistico. I fondatori pensavano che il nuovo ebreo nella nuova società avrebbe dovuto far piazza pulita di tutti i tabù sessuali; quindi fin dall'infanzia non vi sarebbe stati misteri riguardo al sesso ed al corpo. Fin dall'infanzia maschi e femmine vengono allevati nella promiscuità più totale, condividendo la camera e la toilette. Per fare queste cose bisogna essere molto intimi, mentre fra questi gruppi di adolescenti l'intimità è sconosciuta. Quindi per non infrangere lo spirito di gruppo sono costretti a reprime la loro eccitazione sessuale. Tutto ciò porta ad un atteggiamento molto puritano nei confronti del sesso. A partire da i kibbutzim di destra si è cominciato a dividere i maschi dalle femmine verso i dodici anni; anche i ragazzi stessi si sono dettia favore di questa divisione, che sicuramente riduce le tensioni.
I fondatori dei kibbutzim pensavano che eliminando gli ostacoli esterni le persone si sarebbero potute realizzare meglio. In realtà sono proprio quegli ostacoli che permettono alle persone e soprattutto ai membri della famiglia, di rivelarrsi l'un l'altro e di rivelarsi anceh a se stessi. Nel kibbutz le tensioni ci sono, ma non possono mai essere palesate. In una famiglia, o con pochi amici, si può litigare, riappacificarsi; non lo si può fare con trenta o quaranta persone.
"Il risultato di tutte queste repressioni è che i nostri bambini si vergognano di aver vergogna e temono di aver paura. Non osano amare, donarsi. E in parte ciò deriva dal terrore che hanno le loro madri di somigliare alle "mammine" ebree. e io ancora non sono certo se sia incapacità, o piuttosto paura di provare emozioni. L'impressione che se ne ricava è che perfino il bambino piccolissimo, perfino l'infante, sia costretto a difendersi contro i propri sentimenti". (psicoanalista che alvora in kibbutx, citato da Bettelheim a pag. 246)
C'è da chiedersi se la repressione continua di ogni emozione personale e la mancanza totale di intimità e di confidenza fra le persone siano dei risultati talmente negativi da non inficiare tutti gli altri risultati positivi.
Sicuramente questo tipo di educazione ha creato delle personalità più adatte alla vita in kibbutz, ma anche meno motivate. La mancanza di una spinta ideologica ha fatto sì che vi fossero sempre più deroghe agli ideali originari ed ha reso il kibbutz più debole rispetto alle spinte che tendono a parificarlo a forme cooperativistiche, come i moshavim.
Kibbutz e stato.
In una quasi tale repressione di ogni sentimento personale, desiderio per il futuro, passione ed inclinazione, c'è soltanto un sentimento che si può esplicare liberamente: l'amore per i kibbutzim, per il socialismo, per Israele. Ogni membro sa con certezza che questi sentimenti sono condivisi da tutti i membri del kibbutz, quindi esprimerli non comporta nessuna confidenza particolare.
La prima generazione ha duramente lottato per la creazione dello stato d'Israele e lo sostiene completamente, anche se esprime un'opposizione di sinistra. Anche i figli sono molto attaccati a Israele, ma il loro amore è privo di quella passione ideologica che caratterizza i loro genitori.
I membri dei kibbutzim godono di un'altissima reputazione in Israele, nella vita politica ed all'interno dei partiti a cui i vari kibbutzim si rifanno. Soprattutto sono considerati come membri dell'esercito. Da essi vengono molti più ufficiali che dal resto della popolazione. Sono soldati coraggiosi, perfino troppo, tanto è vero che nella guerra dei sei giorni il numero di feriti e morti fu sproporzionato nei confronti dei membri di kibbutzim: su circa 800 caduti 200 venivano dai kibbutzim (che costituiscono il 4 % della popolazione totale di Israele).
Anche nella vita politica i membri dei kibbutzim sono molto più influenti: pur essendo all'incirca il 4 % della popolazione di Israele essi forniscono il 15 % dei deputati della Knesset. I kibbutzim per Israele rappresentano il serbatoio ideologico del sionismo delle origini: la dimostrazione che Israele non è solo un nuovo stato, ma uno stato con delle basi diverse e migliori.
Comunque il fervore ideologico della prima genrazione è del tutto scomparso nella seconda: il loro interesse per la politica è molto scarso, come per tutte le cose teoriche. Votano compatti per il partito del kibbutz d'appartenenza, ma senza una vera e propria fede o conoscenza. Il loro modo di fare assomiglia a quello di molti seguaci di confessioni religiose occidentali, che continuano ad osservare certi dettami senza alcune partecipazione personale.
CONCLUSIONI
Abbiamo assistito al ritorno progressivo della famiglia, anche fra persone che volevano manifestatamente abolirla: dapprima è riemerso il legame di coppia, dopo qualche decennio quello fra genitori e figli (ormai sono rimasti pochissimi kibbutzim ad allevare i figli collettivamente). Rispetto all'ideologia originaria del kibbutz ci sono stati molte deroghe, e quasi tutti su questo punto: la famiglia.
L'ideologia originaria non è invece stata tradita nei concetti di base per quanto riguarda la proprietà collettiva. Sebbene ogni membro ormai possieda alcuni oggetti personali, la terra ed i mezzi di produzione rimangono collettivi. Anche riguardo alla ripartizione secondo il bisogno, il kibbutz è riamsto fedele ai suoi principi, riuscendo così a dimostrare che almeno su questi punti l'Utopia è realizzabile.
Per quanto riguarda l'uguaglianza invece, si assistito negli anni ad una prograssiva differenziazione dei mebri del kibbutz: in base al sesso, in base all'età ed anche in base al tipo di lavoro svolto. Visto che i membri del kibbutz per raggiungere questa uguaglianza devono rinunciare alla propria libertà, non mi sembra che il risultato sia eccellente.
Probabilmente la quarta aliya, gli ebrei dell'Europa orientale (soprattutto russi), emigrati in massa dopo la caduta del comunismo, darà un duro colpo a molte istituzioni collettivistiche dei kibbutzim, soprattutto per quanto riguarda la famiglia. Le difficoltà economiche hanno spinto queste persone a diventare membri di kibbutzim, ma manca ad essi la volontà di sacrificarsi in quanto non credono alle idee collettivistiche del kibbutz. Sarà probabilmente proprio questa aliya a dare il colpo definitivo ed a reintegrare completamente la famiglia nella vita del kibbutz. Sarà interessante vedere se questo influenzerà anche il concetto di proprietà collettiva.
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
FRANCO VENTURI, Il populismo russo. III volumi: Herzen Bakunin, Cernysevskij, Dalla liberazione dei servi al nihilismo, Dall'andata al popolo al terrorismo. Torino, Einaudi 1972.
JONATHAN FRANKEL, Gli ebrei russi. Tra socialismo e nazionalismo (1862-1917). Torino, Einaudi 1990.
CHARLES FOURIER, Teoria dei quattro movimenti, il nuovo mondo amoroso. Torino, Einaudi 1971.
CLAUDIO STROPPA, Comunità e Utopia. Problemi di una sociologia del kibbutz. Bari, Dedalo Libri 1970.
BRUNO BETTELHEIM, I figli del sogno. Milano, Mondadori 1969.
ARTHUR KOESTLER, Freccia nell'azzurro. Bologna, il Mulino 1990.
DAVID MEGHNAGI, Il kibbutz, aspetti socio-psicologici. Roma, Barulli 1974.
DAN LEON, The kibbutz, a new way of life. Oxford, Pergamon Press 1969.
Da aggiungere: A new way of life, Tolstoj saggi, Megnaghi, Cremonesi, qualcosa di storia del sionismo. Wandervogel Laqueur.